Intervista a Stefano Mazzanti

Scritto da Romano Baratta

mercoledì 19 ottobre 2011

AUTORE CONTEMPORARY LIGHTING CONTEXT 2011

Artista visivo e lighting designer, si è formato attraverso gli studi al DAMS di Bologna (laureandosi con una tesi sul linguaggio della luce), e la frequentazione del Teatro dell’Acqua dei fratelli Cesare e Daniele Lievi. Ha collaborato a lungo con il light designer Gigi Saccomandi e, nel ’98, ha pubblicato il libro Luce in scena – storia, teorie e tecniche dell’illuminazione a teatro. La qualità del suo lavoro gli è valsa l’invito alla prestigiosa manifestazione Luci d’Ancona, a San Giovanni Illuminato a Catanzaro e alle mostre collettive Re-lighting the City a Brescia e Notturni dannunziani, al Vittoriale di Gardone Riviera. Ha ideato e realizzato performance basate sull’interazione e la sincronizzazione fra suono e luce. Collabora con vari registi, artisti, musicisti e coreografi ed ha all’attivo numerosissimi spettacoli di teatro, danza e opera lirica, in Italia e all’estero, prodotti, tra gli altri, da Biennale di Venezia, Napoli Teatro Festival Italia, CSS di Udine, Festival di Santarcangelo, Festival Ortigia di Siracusa, Mittelfest, Teatro Due di Parma, Teatro Verdi di Trieste ecc. Nel 2001 ha fondato il gruppo di ricerca equilibri avanzati. Dal 2007 è titolare della cattedra di Illuminotecnica e Light design presso l’Accademia di Belle Arti S. Giulia di Brescia.

Ciao Stefano. Ci puoi raccontare quando ha avuto origine il tuo interesse per la luce? Io ho cominciato, ventenne, a fare teatro con un gruppo di amici. Come succede in questi casi tutti fanno di tutto: registi, attori, scenografi, tecnici, falegnami, pittori ecc.

Gli spazi e le scene erano creati con qualche asse di legno, carta, cartone e ricoperti con quattro stracci.
La cosa che più mi colpiva e continuamente mi meravigliava era come bastasse accendere una piccola luce messa nel posto giusto per vedere quegli oggetti "recuperati" trasformarsi, come per magia, in un altro mondo. Era come se la luce infondesse in loro la vita. Credo che la mia passione sia nata proprio lì...Più in generale: la luce è responsabile della visione, il procedimento probabilmente più potente attraverso cui raccogliamo informazioni sul mondo che ci circonda. Mi ha sempre interessato molto lavorare con la luce proprio perché mi da la possibilità di cambiare la percezione dello spazio, degli ambienti e di chi li vive, fra i due estremi della realtà concreta e dell'immaginazione.

Qual'è il tuo approccio alla luce? In che direzione si sviluppa la tua ricerca? Innanzitutto cerco sempre di partire da un pensiero, da un senso, e cerco di fare in modo che la luce sia qualcosa di attivo. Credo che talvolta possa addirittura essere generativa di uno spazio, una situazione, una drammaturgia. Non mi piace, invece, quando ne sento parlare in termini di emozione, suggestione ecc. perché trovo che fare questo con la luce sia molto facile ma anche molto limitato. Per il resto il mio approccio è indubbiamente legato ai miei inizi. Vale a dire che la luce per me in qualche modo "racconta" sempre qualcosa, che può essere un intreccio, un carattere o lo stato d'animo di un personaggio se sto facendo uno spettacolo. Se lavoro su un'installazione questa ha spesso almeno una componente site specific, cioè la luce racconta uno spazio, la sua evoluzione nel tempo, la sua storia. Anche quando uso la luce in sé come oggetto stesso della visione tendo ad organizzarla in modo che abbia uno sviluppo, un'evoluzione nel tempo. Per questo ultimamente mi sono molto interessato a tutte quelle esperienze, soprattutto del '900, che hanno messo in relazione la luce con il suono e la musica. La musica porta all'esperienza visiva la dimensione temporale. Sto' lavorando in questo senso nelle ultime installazioni/performance e anche in laboratori con i bambini. Da quando ho fondato il gruppo di ricerca equilibri avanzati sto sperimentando molto anche la relazione corpo-luce, soprattutto in ambito performativo. Il corpo è portatore dell'identità della persona e la sua visione è sempre mediata dal mezzo luce. Ne consegue che la luce può trasformare la percezione del corpo e quindi dell'identità stessa della persona.